lunedì 23 febbraio 2009

Gruppo famiglie - percorso San Paolo

Siamo nell'anno Paolino e quindi è giusto ricordare il percorso di vita di San Paolo -->
SOMMARIO
1. Lettera ai Filippesi 2. Lettera ai Galati 3. Prima lettera ai Corinzi 4. Seconda lettera ai Corinzi 5. Lettera ai Romani 6. Lettera agli Efesini 7. Lettera ai Colossesi 8. Lettere pastorali, le due a Timoteo e quella a Tito 9. Le due Lettere ai Tessalonicesi e la Lettera a Filemone 10. Lettera agli Ebrei

1. Lettera ai Filippesi E’ in parte autobiografica e in parte prelude a molti temi delle altre Lettere. La si legge con una certa facilità e la si può gustare con una lettura pacata e lineare. Lettera ai filippesi Epistola compresa nel Nuovo Testamento, la cui attribuzione a san Paolo non è messa in discussione; è indirizzata ai cristiani dell’antica città macedone di Filippi e risale al periodo di prigionia di Paolo a Roma, tra il 61 e il 63. Alcuni studiosi hanno però anche proposto una datazione precedente (54-57 ca.), quando Paolo era prigioniero a Efeso; altri sostengono che venne scritta durante la prigionia di Paolo a Cesarea di Palestina (58-60). La comunità dei filippesi fu la prima fondata da Paolo nel continente europeo (Atti 16:9-40) e continuò a mostrarsi devota all’apostolo. Nella lettera, divisa in quattro parti, Paolo mette in guardia i filippesi contro i nemici della Chiesa e della fede e li esorta, contro ogni pericolo di divisione, a seguire l’esempio di Cristo e a vivere uniti, in comunione con lui. Il passo poetico che descrive Cristo come servo, incarnato ed esaltato dopo la sua passione, inaugura quella dottrina tripartita (2:5-11) che è uno dei più importanti passi cristologici nella letteratura paolina (vedi Cristologia). Ormai tutti sostengono che si tratti di un inno cristiano prepaolino, che Paolo utilizza prendendolo dal materiale liturgico diffuso nell’antica comunità cristiana. Esistono evidenti connessioni letterarie con il “Carme del servo” di Isaia (53), riferito dai cristiani a Cristo.

2. Lettera ai Galati Dapprima racconta la conversione dell'apostolo e poi passa alla difesa del suo "evangelo", cioè della sua predicazione. Qui i toni si fanno molto polemici, talvolta duri, ma è anche in questo modo che veniamo a conoscere la vera personalità di Paolo. Lettera ai galati Epistola del Nuovo Testamento indirizzata da san Paolo alle chiese da lui fondate nella provincia romana della Galazia, ma non identificabili con assoluta precisione. Gli studiosi fanno risalire la lettera alla metà del I secolo, intorno al 54 d.C., redatta da Paolo durante il soggiorno a Efeso; il motivo della sua stesura fu la crescente influenza esercitata sui galati dagli ebrei convertiti, che predicavano una stretta osservanza delle leggi di Mosè e dei rituali ebraici, diminuendo o addirittura vanificando l’importanza della fede in Cristo come principio fondamentale della salvezza. Per contrastare queste dottrine, che potevano ridurre il cristianesimo a una filiazione dell’ebraismo, Paolo sostiene come tema centrale della lettera che la condizione essenziale della salvezza è la fede in Cristo, non le opere della Legge (capp. 3-5). Diversamente dal testo della lettera, che probabilmente venne dettata a uno scriba, l’epilogo, che ne ribadisce i contenuti principali, sembra sia stato scritto da Paolo di suo pugno (6:11). La lettera ai galati è stata fonte continua di ispirazione per i teologi cristiani, soprattutto per l’esposizione paolina della dottrina della fede. Viene spesso definita la “Magna Charta” della libertà cristiana, poiché in essa Paolo sviluppò la sua dottrina dell’indipendenza del cristianesimo dall’ebraismo e dell’efficacia della salvezza ottenuta attraverso Cristo. La lettera ha anche valore storico per le informazioni autobiografiche contenute nei primi due capitoli.

3. Prima lettera ai Corinzi Tratta ampiamente il tema della Chiesa non in modo astratto, ma a partire dalla situazione storica di quella comunità. Egli passa in rassegna i vari problemi di quella comunità e a ognuno offre una risposta appropriata e puntuale. Viene spontaneo il confronto con la situazione delle nostre comunità ecclesiali. Lettere ai corinzi Due epistole del Nuovo Testamento scritte da san Paolo alla comunità cristiana dell’antica città greca di Corinto. La prima lettera potrebbe essere stata scritta nel 56 d.C. da Efeso durante il terzo viaggio missionario dell’apostolo; la seconda, probabilmente, negli ultimi mesi del 57, da Filippi o da Tessalonica (Macedonia). Secondo la testimonianza contenuta nella prima epistola (5:9) Paolo avrebbe scritto ai corinzi anche una lettera precedente, che però non ci è pervenuta, e un’altra lettera inviata tra la prima e la seconda, anch’essa perduta o difficilmente ricostruibile. Ampio risulta quindi il carteggio intercorso tra Paolo e i corinzi, testimoniato presumibilmente da almeno quattro lettere. Ai tempi di Paolo, Corinto era una delle più importanti città dell’impero romano, poiché fungeva da ponte commerciale tra Oriente e Occidente e attirava mercanti, artigiani e visitatori da tutto il bacino del Mediterraneo. Gli abitanti, provenienti da diversi ambienti culturali, mantenevano molte tradizioni tipiche dei loro luoghi di origine; la comunità cristiana si componeva prevalentemente di gentili. Prima lettera Paolo scrisse la prima lettera ai corinzi con diverse motivazioni: per rispondere ad alcune loro domande riguardanti determinate pratiche sociali e religiose; a causa di notizie secondo cui i cristiani stavano dividendosi in fazioni e tolleravano l’immoralità; per esporre, infine, alcune considerazioni sul tema cruciale della resurrezione. Affrontando per primo il problema delle divisioni interne (capitoli 1-4), Paolo comunica ai corinzi che tutti coloro che predicano e che credono nella parola di Dio sono “collaboratori di Dio” (3:9) e che il fondamento della fede rimane Gesù Cristo. Rivolgendosi poi ai problemi dell’immoralità (cap. 5-6), rimprovera severamente i credenti per aver tollerato pratiche “di un’immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani” (5:1), esortandoli ad allontanare dalla comunità i membri immorali; questa richiesta di Paolo fu all’origine della pratica della scomunica. Tra i numerosi problemi dibattuti nei capitoli 7-14, i più rilevanti sono quelli che concernono il modo di celebrare la cena del Signore e l’impiego dei doni spirituali. Paolo rimprovera ai corinzi la mancanza di carità con cui essi celebrano la cena del Signore (11:17-34), ricordando loro come Cristo stesso si fosse comportato durante la cena, nella quale i cristiani fanno memoria del mistero salvifico della sua morte. Il passo della lettera rappresenta la più antica attestazione del racconto dell’Ultima Cena. Infine, a proposito del valore relativo di alcuni doni dello spirito o carismi (capitoli 12-14), Paolo esalta l’amore, o carità (il termine greco è agápe) come fine ultimo di ogni espressione spirituale personale (cap. 13). Il capitolo 15 riguarda interamente la resurrezione.

4. Seconda lettera ai Corinzi Anch'essa molto autobiografica e perciò tale da introdurci in una conoscenza più diretta del cuore di Paolo. E in essa che ci è offerta l'opportunità di entrare nell'animo non solo dell'apostolo ma anche del credente e del mistico. La seconda epistola ai corinzi presenta molti problemi per gli studiosi, poiché alcuni brani paiono avulsi dal contesto o mostrano un tono nettamente diverso. Subito dopo l’arrivo della prima lettera ai corinzi, sembra che un gruppo di giudeo-cristiani fosse giunto a Corinto dalla Palestina, professandosi cristiano (11:23) e sottolineando le proprie origini israelitiche (11:22); essi si presentavano come “ministri di giustizia” (11:15). Poiché Paolo li definì dapprima “superapostoli” (11:5) e poi “falsi apostoli, operai fraudolenti” (11:13), essi lo attaccarono (11:6-9). Per riaffermare la propria autorità, Paolo visitò Corinto, ma questa visita sembra sia stata breve e dolorosa (2:1), senza sortire conclusioni alla crisi. Contemporaneamente l’autorità di Paolo venne ulteriormente sfidata da alcuni atti di disobbedienza non specificati (2:5-11). Paolo inviò allora una lettera colma d’ira, probabilmente ancora dalla città ionica di Efeso, in cui difendeva appassionatamente il proprio apostolato e chiedeva la punizione della persona che aveva disobbedito. Quando fu informato che i corinzi avevano ricevuto la lettera, a noi però sconosciuta, e avevano obbedito (7:5-8), Paolo scrisse loro un’altra lettera (quella che viene appunto denominata 2 Corinzi) dalla Macedonia, nella quale esprimeva gratitudine e gioia, implorando clemenza per la persona colpevole e punita (2:5-11), e intrattenendosi sulla relazione corretta tra un apostolo e la sua comunità (2:14-6:13, 7:2-4). Alcuni studiosi identificano la lettera “adirata” intermedia, definita talvolta “epistola delle lacrime”, con 2 Corinzi 6:14-7:1, 10-13. L’importanza della seconda lettera ai corinzi risiede soprattutto nei dettagli riguardanti la vita e il ministero di Paolo.

5. Lettera ai Romani Sviluppa e approfondisce la tematica della Lettera ai Galati. Qui le difficoltà potrebbero crescere, ma nessuna paura! Siamo ormai capaci di interpretare correttamente anche questa Lettera, se siamo stati fedeli nel leggere le altre. Lettera ai romani Epistola del Nuovo Testamento, la più lunga delle lettere di san Paolo; composta nel 58, probabilmente a Corinto, era destinata alla Chiesa di Roma. Paolo aveva terminato la sua opera missionaria in Asia Minore ed era in procinto di recarsi a Gerusalemme, da dove sperava di ripartire alla volta di Roma, per poi portare il Vangelo in Spagna. La lettera svolge così la funzione di autopresentazione dell’apostolo e di illustrazione della sua dottrina, poiché Paolo temeva che la sua opera missionaria e la sua concezione del Vangelo potessero essere compromesse dalla predicazione dei cristiani giudaizzanti, probabilmente presenti anche nella comunità di Roma. La salvezza per mezzo della fede Il tema principale della lettera è il Vangelo: “Potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (1:16). Gli uomini “giustificati dalla fede” (5:1), spiega Paolo, hanno un rapporto nuovo con Dio, una vita sicura dell’amore di Dio e della salvezza finale (5:1-8:39). Essi possono così sperimentare un’esistenza nello spirito capace di stabilire con Dio un rapporto così intimo e confidenziale da poterlo chiamare abbà, “padre” (capitolo 8). Nei capitoli 9-11, Paolo affronta la delicata questione del rapporto tra le promesse di Dio e Israele. Certo, la non adesione di Israele a Cristo è motivo di tristezza e di preoccupazione poiché Paolo è fermamente convinto dell’assoluta centralità di Cristo per la salvezza degli uomini. Tuttavia ciò che è accaduto rimane pur sempre all’interno della logica provvidenziale di Dio: egli infatti attraverso l’incredulità di Israele ha spalancato ai gentili (il nuovo Israele della fede) le porte della salvezza e nello stesso tempo mantiene fede per sempre alle sue promesse. Paolo è dunque certo che il popolo ebraico non sia stato abbandonato da Dio e che comunque, anche se in modo non prevedibile, esso rientrerà pienamente nel disegno salvifico di Dio in Cristo. Rimane esclusa ogni presunzione: degli ebrei e dei pagani, perché tutti, in quanto peccatori, hanno assoluta necessità di essere salvati. Amore e carità verso tutti: Nell’ultima sezione della lettera, Paolo fornisce esortazioni morali e istruzioni: i credenti devono offrire i propri corpi a Dio come “sacrificio vivente” (12:1), amare i nemici (12:14-21), obbedire all’autorità civile (13:1-7), non avere debito con alcuno se non l’amore: “perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge” (13:8), ricordare che Dio è giudice di tutto (14:1-12), perciò essere tolleranti verso chi è “debole nella fede” (14:1) e rinunciare a se stessi seguendo l’esempio di Gesù, per il bene di tutti (14:13-15:13). Paolo conclude la lettera con una breve difesa delle sue attività missionarie e una dossologia (15:14-16:27). Molti studiosi suggeriscono che quasi tutto il capitolo 16, che nei testi moderni accoglie versetti che nei manoscritti antichi costituiscono l’appendice al capitolo 15, fosse in origine una lettera a sé stante; altri, tuttavia, continuano a ritenere l’attuale capitolo 16 parte dell’originale dello scritto. La lettera ai Romani è l’esposizione più sistematica, profonda e completa del pensiero teologico paolino ed è perciò uno dei testi più importanti del Nuovo Testamento.

6. Lettera agli Efesini Presenta non poche difficoltà ma a questo punto siamo in grado di coglierne il messaggio. Nella sua prima parte tratta del mistero della Chiesa, mentre nella seconda Paolo rivolge una speciale esortazione ai battezzati. Lettera agli efesini Epistola compresa nel Nuovo Testamento: tra quelle attribuite a san Paolo è una delle lettere di maggior contenuto dottrinale. La prima sezione della lettera (1:3-3:21) riguarda lo scopo finale di Dio, la ricapitolazione e la salvezza in Cristo di tutte le forze e gli esseri in conflitto. I passi-chiave della sezione sono 1:20-23, un’affermazione della supremazia universale e infinita di Cristo, e tutto il II capitolo, in cui Paolo accenna alla salvezza mediante la grazia (2:5), alla possibile riconciliazione di cristiani, gentili ed ebrei in una sola “famiglia di Dio” (2:19). La seconda sezione (4-6:17), concernente la natura e il ruolo della Chiesa, invita i lettori a essere all’altezza delle responsabilità morali imposte dalla fede in Cristo. Non tutti gli studiosi concordano sull’attribuzione della lettera a Paolo: secondo la tradizione, quando Paolo scrisse quelle a Filemone e ai Colossesi, scrisse anche una terza lettera alla Chiesa di Efeso. Rispetto alle lettere autentiche di Paolo, interessate a controversie e problemi specifici o indirizzate a Chiese particolari, il tono della lettera agli Efesini è impersonale. Perciò, secondo gli studiosi, fu scritta per circolare tra i cristiani nella provincia romana dell’Asia; le parole “a Efeso” possono essere state aggiunte al versetto d’apertura in qualche manoscritto, semplicemente perché Efeso era la principale città della regione. Incerti sono anche luogo e data di composizione: se la lettera è di Paolo, e contemporanea alla lettera a Filemone e ai Colossesi, allora fu scritta probabilmente nell’antica città palestinese di Cesarea o a Roma durante il periodo della sua prigionia (61-63 ca.); le date di composizione proposte variano dunque dal 62 al 92.

7. Lettera ai Colossesi Fondamentalmente contiene il messaggio formulato da Paolo nelle altre Lettere: con il battesimo noi abbiamo parte alla pienezza di Cristo, che è il capo. Lettera ai colossesi Epistola compresa nel Nuovo Testamento, la cui tradizionale attribuzione a san Paolo è stata messa, dal XIX secolo, in discussione; vocabolario e stile risultano infatti notevolmente diversi e le false dottrine combattute nella lettera fanno pensare allo gnosticismo del II secolo d.C. Tuttavia, molti sono coloro che mantengono l’attribuzione della lettera a Paolo: sia perché in questo senso la tradizione antica appare unanime, sia perché i temi affrontati nello scritto appartengono alle caratteristiche questioni dibattute dall’apostolo. Notevoli sono infatti le somiglianze con la Lettera agli efesini e tutto fa pensare che i due testi possano essere stati scritti a poca distanza l’uno dall’altro; la data di composizione potrebbe però oscillare tra il 54 d.C. e il più probabile 61-63 (durante la prigionia di Paolo a Roma). Scopo principale della lettera è invitare i credenti a guardarsi da una dottrina religiosa errata, che privilegia la conoscenza e le speculazioni riguardanti le potenze angeliche e gli esseri celesti rispetto alla fede, e che giunge a considerare il mondo fondamentalmente malvagio. Gli errori descritti derivavano da influenze gnostiche. Paolo condanna energicamente il culto degli angeli come sostituti di Cristo ed esorta alla fede nel Cristo crocifisso e risorto, immagine dell’invisibile Dio; afferma inoltre che la fede in Cristo libera i credenti dalla falsa saggezza del mondo e dall’osservanza di regole vane. L’epistola, che si conclude con un’esortazione a imitare Cristo amando e servendo in letizia Dio e l’umanità, include alcuni brani molto noti, tra cui quelli riguardanti la Chiesa, rappresentata come il corpo di Cristo (1:15-20), e il battesimo (2:12-15).

8. Lettere pastorali, le due a Timoteo e quella a Tito Vanno lette con una nuova chiave interpretativa: esse infatti contengono una lunga serie di raccomandazioni che Paolo rivolge ai suoi due discepoli prediletti, affinché imparino a reggere le comunità ecclesiali loro affidate. Lettere a Timoteo e Tito Tre lettere del Nuovo Testamento, due delle quali erano indirizzate a Timoteo e la terza a Tito, entrambi discepoli e collaboratori di san Paolo. Sono note comunemente come “lettere pastorali” perché riguardano soprattutto l’organizzazione ecclesiastica, i doveri del ministero (1 Timoteo 3:1-13), l’unificazione della dottrina (2 Timoteo 1:13-14) e le regole di comportamento cristiano (2 Timoteo 2:8-15:5; Tito 2:1-3:8). Anche se la tradizione ecclesiastica le attribuisce a Paolo, gli studiosi moderni ritengono che il linguaggio, lo stile e la situazione storica tratteggiata non corrispondano a quelli che caratterizzano l’epoca paolina, e le ascrivono piuttosto a un autore sconosciuto della fine del I secolo.

9. Le due Lettere ai Tessalonicesi e la Lettera a Filemone Le prime scritte da san Paolo, si caratterizzano soprattutto per il loro messaggio escatologico, relativo agli ultimi eventi della storia della salvezza. Esse tuttavia contengono anche pagine autobiografiche di Paolo, intrise di un amore che assume fattezze sia materne sia paterne. L’ultima la più breve di tutte, non è altro che un biglietto di presentazione che Paolo invia a Filemone per raccomandargli Onesimo «lui, il mio cuore»: uno scritto brevissimo ma ricco di pathos e di carità. Lettere ai tessalonicesi Due epistole di san Paolo appartenenti al Nuovo Testamento. La prima fu scritta intorno al 50-51 d.C.; la seconda, se è opera di Paolo, venne redatta probabilmente qualche tempo dopo nel medesimo anno. Entrambe le lettere, scritte a Corinto, erano indirizzate ai neoconvertiti alla fede di Cristo che risiedevano nell’antica città macedone di Tessalonica, l’attuale Salonicco. L’antichità dei due documenti, redatti a soli due decenni dalla morte di Cristo, consentono di raggiungere un periodo storico relativo alla predicazione cristiana e alle dottrine professate dalle più antiche comunità, precedente agli stessi vangeli, in quell’epoca non ancora redatti. Vi si manifesta un più deciso sfondo apocalittico, un’ansia di salvezza legata alle attese dell’imminente ritorno del Signore. La successiva riflessione e teologia paolina allenterà la tensione, in una più matura consapevolezza del “tempo della Chiesa” come tempo di grazia. Prima lettera L’epistola fu inviata dopo il ritorno a Corinto di Timoteo, il coadiutore missionario di Paolo, con la notizia che la Chiesa di Tessalonica, appena fondata, restava fedele malgrado l’ostilità ebraica e pagana. Paolo reagì alla notizia con gioia e gratitudine e con amorevole preoccupazione per i nuovi convertiti (capitoli 1-3). La lettera riferisce i ricordi della missione e dell’opera apostolica di Paolo a Tessalonica (2:1-16), il suo grande desiderio di rivedere i tessalonicesi e lo scopo dell’invio di Timoteo laggiù (2:17-3:10). I capitoli 4-5 contengono soprattutto indicazioni etiche e dottrinali; Paolo assicura che non occorre preoccuparsi per i cristiani che muoiono prima della parusia (il ritorno di Cristo), perché verranno assunti in cielo al riapparire di Cristo (4:13-18). Quanto al tempo della sua seconda apparizione e al giorno del giudizio, i lettori già sanno che il momento finale giungerà inaspettato, quando tutti crederanno di essere in pace e al sicuro. Allora nessuno dei figli delle tenebre sfuggirà all’ira di Dio, mentre i fedeli, i figli della luce, otterranno la salvezza (5:1-11). Seconda lettera L’occasione da cui scaturì la seconda epistola fu, secondo molti studiosi, una successiva relazione circa la situazione di Tessalonica. I convertiti venivano ancora perseguitati e alcuni di essi, forse per la severità delle persecuzioni, si erano convinti dell’imminenza della fine. La risposta iniziale di Paolo è di incoraggiamento e avverte che la paziente fermezza nelle persecuzioni rappresenta la primizia della salvezza definitiva. Paolo chiede ai “fratelli” di non lasciarsi ingannare: il giorno finale non è giunto, né giungerà prima dell’avvento del “figlio della perdizione” (2:3), che sarà preceduto da una ribellione contro Dio. Paolo infine consiglia come educare e correggere gli oziosi e gli indisciplinati esortando a guardarsi dalla “vita disordinata”. Particolarmente interessanti risultano inoltre i passi della lettera riguardanti l’Anticristo (2:3-12) e il “mistero dell’iniquità” (2:7). Lettera a Filemone Epistola di san Paolo compresa negli scritti del Nuovo Testamento, redatta mentre l’apostolo si trovava a Roma, probabilmente in condizione di prigionia (1:1, 9-10, 13, 23). La data è collocabile tra il 61 e il 63 d.C. Unica lettera di san Paolo indirizzata a un singolo per scopi privati, si compone di soli 25 versetti. San Paolo scrive a Filemone, un “diletto collaboratore” (1:1) che vive a Colossi (Asia Minore), in difesa di uno schiavo dello stesso Filemone, Onesimo, il quale sarebbe fuggito probabilmente dopo aver derubato il suo padrone. Sotto la guida di Paolo, però, Onesimo è diventato un “utile” (11) convertito alla fede di Cristo. Paolo vorrebbe tenere il fuggiasco con sé, ma non avendo il consenso di Filemone, restituisce Onesimo (con la lettera) al padrone “non più come schiavo”, ma come un “fratello diletto” (1:16). Chiede a Filemone di accoglierlo come fosse lui stesso, di perdonarlo per il danno subito mettendolo “sul suo conto”, e accenna addirittura all’emancipazione dello schiavo (21). Paolo non attacca apertamente lo schiavismo, istituzione accettata presso molti popoli dell’antichità, ma intende unicamente comunicare che Onesimo, convertendosi, era diventato fratello in Cristo, cioè pari a lui in Cristo. Il fatto che lo schiavo si dovesse considerare “fratello” di Filemone, suo padrone legale, rappresenta un’idea rivoluzionaria per quei tempi.

10. Lettera agli Ebrei Viene adottato, con uno stile nuovo e assai diverso da quello adottato da Paolo nelle altre Lettere, affronta il tema del sacerdozio di Cristo e ne presenta le principali caratteristiche. Lettera agli ebrei Epistola tradizionalmente attribuita a san Paolo e così denominata a partire dal III secolo d.C. La paternità della lettera è stata oggetto di controversie fin dall’inizio: Tertulliano, ad esempio, l’attribuì a Barnaba, compagno di Paolo. Dal II secolo in poi, tuttavia, nelle chiese cristiane dell’Oriente del Mediterraneo, venne ritenuta opera dell’apostolo. In Occidente questa attribuzione fu accettata da sant’Agostino nel V secolo, il quale, con la sua autorevolezza, trasferì l’opinione anche agli esegeti posteriori. Gran parte degli studiosi moderni ritiene invece che la lettera non sia opera di Paolo, a causa di alcune evidenze testuali, stilistiche e di pensiero che ne rendono impossibile l’attribuzione all’apostolo. Lo scritto non si rivolge a un destinatario in particolare ed esordisce privo dei consueti saluti caratteristici delle lettere paoline. Lo si ritiene indirizzato a una comunità di convertiti dall’ebraismo che avevano nutrito ripensamenti circa la conversione a causa della crescente persecuzione dei cristiani nell’impero romano alla fine del I secolo. A rigore non andrebbe nemmeno definito come lettera, trattandosi invece di un’omelia letteraria o di un trattato scritto in forma di omelia. Nella prima parte, la più lunga (1:1-10:18), l’epistola agli ebrei è un trattato teologico sulla superiorità del sacerdozio di Cristo e sull’efficacia del suo sacrificio rispetto a quelli della tradizione antica. La parte conclusiva, più breve (10:19-13:25), esorta i cristiani a perseverare nella fede. Quanto alla sua stesura, si ipotizza una data antecedente il 70 d.C., anno in cui il tempio di Gerusalemme venne distrutto dai romani, soprattutto perché dopo la caduta della città non rimase alcuna comunità cristiana di ebrei. Alcuni studiosi, invece, propongono una data più vicina alla fine del I secolo, tra l’80 e il 90.

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